Pinzani iniziò a coltivare la passione della bici qualche anno prima della Grande Guerra, ma fu solo in seguito che gli nacque la voglia di apprendere l’arte della realizzazione della bicicletta e, per coltivare tale passione, divenne apprendista nella bottega di un meccanico. Dopo un paio d’anni di apprendistato e dopo aver raggranellato un po’ di soldi aprì nel 1923 la sua bottega in via Gioberti n.85.
La Bici Pinzani
Iniziò a farsi un nome durante il ventennio fascista e durante la sua vita produsse sia bici da lavoro che bici da corsa con il suo marchio “PINZANI” (con la P allungata prendendo spunto dal più famoso marchio Pirelli). Le Pinzani si differiscono da tutte le altre biciclette per la loro classica livrea celeste impreziosita con le fiamme nere bordate di rosso lungo i tubi centrali del telaio. Giusto è sempre rimasto legato a questi colori che furono una sua precisa scelta e anche un suo vanto. Quando andava alle gare ciclistiche dove partecipavano le sue creazioni diceva sempre che, tra la moltitudine di colori delle bici, le sue azzurre risaltavano ed erano facilmente distinguibili dalle altre. Più avanti iniziò a dipingere le bici da passeggio di nero e le bici per i suoi giovani corridori color argento, ma sempre usando il suo amato celeste per le bici da corsa.
Solo col passaggio della bottega al suo aiutante Osvaldo Betti iniziarono ad essere prodotte bici anche di altri colori come il verde o l’arancione. Pinzani, per realizzare i suoi telai, comprava i tubi di varie marche, la più usata era la A.L Colombo, successivamente divenuta Columbus, famosa per aver venduto i suoi tubi in acciaio alle più famose marche di bici come Bianchi e Atala.
Una volta realizzato, il telaio veniva portato dal garzone di bottega a verniciare e poi rimontato con accessori top di gamma dell’epoca. All’inizio era il Cioni, caro amico di Pinzani, che aveva una bottega in via Borgo San Jacopo a pensare alla verniciatura, cromatura e a disegnare a mano le iconiche fiamme nere bordate di rosso. Erano talmente iconiche che venivano realizzate su tutte le bici: da corsa, da passeggio, da donna. A causa lo sgradevole odore derivato dalla vernice, il Cioni dovette trasferirsi a Ponte a Ema nel 1958 e da quel momento Pinzani iniziò a collaborare con una bottega vicina piazza Oberdan per essere verniciato con la sua inconfondibile livrea. Peculiarità di Pinzani era quella di marcare ogni bicicletta, sul davanti appena sotto il manubrio, con un numero seriale.
Ciclismo sportivo e Oltrarno
Pinzani ha sempre avuto un debole per le corse ciclistiche. Già verso la fine degli anni ’20 il ciclista fiorentino Umberto Berni partecipò al Tour de France come “isolato”, cioè senza squadra, con una bicicletta costruita da Giusto. Questa passione abbracciò tutta la famiglia dagli anni trenta fino agli anni sessanta tanto che Pinzani sponsorizzò la società sportiva e ciclistica dilettante dell’Oltrarno di cui fu anche presidente per tutti gli anni sessanta fino al 1972. Anche dopo essere andato in pensione e lasciata la presidenza rimase sempre legato ai colori bianco verdi.
Forniva ai giovani ciclisti tutta l’attrezzatura per correre: le biciclette con cui pedalavano, tubolari (preziosissimi all’epoca causa sondi delle strade dissestate) e le maglie Pinzani blu con barra centrale nera e scritta Pinzani di rosso che raccomandava ai suoi ciclisti di indossare durante i giorni di allenamento per non sciupare le maglie dell’Oltrarno. Scoprì e allenò, durante il loro periodo dilettantistico, moltissimi ragazzi fiorentini a cui voleva bene quasi come fossero figli suoi e si adoperava nel prestare loro assistenza meccanica durante le loro corse. A casa Pinzani non mancavano mai ragazzi della squadra invitati a cena e in queste occasioni la moglie Italia si recava dal macellaio a comprare la carne da fare ai ferri, alimento molto costoso all’epoca ma adattissimo per la dieta dei corridori. Tra i ragazzi tirati su da Giusto segnaliamo il grande Gino Bartali e Gastone Nencini, il leone del Mugello che diventarono prestissimo tra i più famosi ciclisti toscani e italiani. Bartali e Nencini vinsero sia il Giro d’Italia che il Tour de France, risultato riuscito solo a pochi altri ciclisti, e quindi vengono giustamente considerati due tra i più grandi campioni di tutti ti tempi.
Ma oltre a loro anche Bruno Giannelli, Giuseppe Martini, Cino Cinelli, Valdemaro Bartolozzi e moltissimi altri hanno avuto la fortuna di crescere e pedalare sotto l’ala vigile e amorevole di Giusto Pinzani che, anche per loro, realizzava biciclette su misura, consapevole che una buona postura e dimensioni consone a ciascun ciclista portavano ad ottenere risultati migliori.
Gino Bartali
Un esempio della dedizione e dell’affetto che aveva per i suoi ragazzi si può ritrovare nei primi passi della carriera del grande Gino Bartali. Gino veniva da una famiglia umile, i suoi genitori erano lavandai di Grassina. A quei tempi non esistevano le moderne lavatrici. I lavandai giravano per la città con un carretto urlando per annunciare alla cittadinanza il loro passaggio. I cittadini consegnavano loro un sacco pieno di vestiti da lavare con un foglio cucito sopra dove era scritto nome ed indumenti contenuti nel sacco. Giusto aveva già capito che il ragazzino aveva delle gambe speciali e andò a parlare con genitori di lui a Ponte a Ema, dove vivevano. Avendo compreso che la famiglia non aveva i mezzi economici per allevare un ciclista si offrì di mantenere il giovane, in modo che potesse correre. Negli anni successivi Gino Bartali lo ha sempre ringraziato, riconoscendo di essere diventato un campione anche per merito della bravura e della generosità di Pinzani. Quando passò professionista alla Legnano chiese che la sua bicicletta fosse realizzata con le dimensioni di quelle che usava a Firenze. Per questo motivo alcuni emissari della Legnano si recarono a Firenze, in via Gioberto 85 a chiedere al mastro artigiano Pinzani le misure per realizzare la bicicletta di Gino.
Gastone Nencini
Un altro esempio di come Pinzani abbia sempre mantenuto un atteggiamento quasi paterno con i suoi ex corridori, una volta passati professionisti, fu l’aiuto che dette durante tutta la carriera a Gastone Nencini.
Gastone Nencini corse e vinse tanto con la squadra dell’Oltrarno e, grazie a queste vittorie, passò professionista nel 1953. L’anno dopo fu tesserato per la Leo-Chlorodont, squadra italiana sponsorizzata dalla tedesca marca di dentifricio Leo-Werke. Alla partenza del loro primo Giro d’Italia nel 1955, il titolare dello stabilimento italiano dove veniva prodotto il dentifricio criticò la bici che Nencini e compagni utilizzavano: una bicicletta bianca senza alcuno stemma riconoscibile. Fu così che il meccanico della squadra, il giovane Ernesto Colnago di Cambiago, ebbe l’idea di incollare lo stemma della ditta tedesca “Leo” sulla canna obliqua. Nacque in questo modo il marchio Leo che accompagnò Nencini e la sua squadra per i successivi e vincenti 4 anni. Gastone però non riusciva ad apprezzare in pieno il telaio delle biciclette Leo, e fu così che un giorno chiamò il suo mentore chiedendogli una bicicletta da allenamento con le sue misure. Gli chiese anche se poteva realizzarla per la mattina del giorno successivo. Pur nella difficoltà dell’impresa Giusto non si scompose, riattaccò il telefono e insieme al suo assistente Osvaldo lavorò tutta la notte. Alle 9.00 del mattino Gastone passò dalla bottega e trovò la sua nuova bici pronta.
Nel 1957, per la vittoria del Giro d’Italia di Gastone Nencini, tutta la strada venne addobbata a festa per omaggiare il campione e anche colui che lo aveva scoperto e cresciuto. Durante i festeggiamenti Nencini ringraziò più volte Pinzani che, durante le notti tra una tappa e l’altra, risistemava la bicicletta di Gastone. Tra i vari festeggiamenti fu organizzato nel Bar dell’Oblio, bar all’angolo tra Via Gioberti e via Cimabue, un piccolo rinfresco dove tutta la cittadinanza poté acclamare il suo eroe.
Proprio per questa vicenda e per la grandissima abilità di Giusto Pinzani la RAI dedicò un servizio al mastro artigiano. Un giorno alcuni delegati da Roma suonarono al suo campanello, la famiglia aprì incuriosita e scoprì che volevano intervistare Giusto Pinzani perché nel mondo del ciclismo era ormai considerato l’artigiano della bicicletta più bravo d’Italia. Dal carattere chiuso e un po’ burbero, come tutti i migliori artigiani fiorentini, Giusto, all’inizio, non voleva affatto saperne di essere disturbato durante il suo lavoro. Alla fine fu trovato un accordo : le riprese vennero fatte in bottega, mentre lui lavorava ad una delle sue biciclette, armato di saldatrice, gabbanella nera e occhialoni da saldatore. Per girare il video tutta via Gioberti fu chiusa al traffico, da cima fino a via Cimabue, generando enorme curiosità tra gli abitanti della strada.
Giusto Pinzani si sentiva molto fiero di aver sponsorizzato la società ciclistica Oltrarno e di aver scoperto e cresciuto i “suoi ragazzi”. Fu amato e rispettato da tutti, sia a Firenze, che a Pontassieve e Contea. Questa sua popolarità e fama lo inorgogliva enormemente, non certo per sfoggio di superiorità, ma perché comprendeva che il suo lavoro, a cui si era sempre dedicato con amore e passione, ma anche con tanti sacrifici, veniva giustamente riconosciuto e apprezzato da tutti.