Abbiamo intervistato Bruno Giannelli nel Giugno del 2019, che gentilmente ci ha aperto le porte di casa sua di Via Datini. Ovviamente per ripagare la sua gentilezza nell’avere in casa due sconosciuti che lo avrebbero di lì a poco riempito di domande, ci siamo armati di pasticcini in modo che l’invasione fosse almeno un pò più dolce. Questa sezione dedicata a Bruno sarà un mix tra un’intervista e un racconto, per poter far passare quello che ci ha passato lui, ovvero lo sforzo e la fatica, l’arrangiarsi, lo sporco, la vita vera di un ciclista dilettante degli anni quaranta.
La Firenze di quegli anni era molto diversa da quella di oggi. Era in atto la ricostruzione della città dai bombardamenti subiti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, ma questo non fermò la grande passione dei fiorentini e toscani, ovvero il ciclismo. Lo sport di Bartali era in quegli anni dominante su tutti gli altri, portava le persone su strada a vedere i propri idoli e ad accendere gli animi degli appassionati. A Firenze esistevano moltissime società sportive, come S.S. Oltrarno, Soffiano, Club Sportivo Firenze, Aurora, Assi Rifredi, Porta Romana, Aquila Ponte a Ema, Rifredi, Alfio, Le Cure, Italo Firenze, Tavarnuzze e tante altre. “Tutte squadre raffazzonate, costruite alla bene e meglio non crediate” ci racconta Bruno tra un biscotto e l’altro. “L’attività ciclistica in toscana iniziava solitamente verso la metà di Marzo con le prime gare organizzate a Firenze. Se eri dilettante potevi correre praticamente quasi tutti giorni da quante corse c’erano. Ad ogni evento partecipavano all’incirca dai 30 ai 70 corridori ed ogni corsa contattava le varie società ciclistiche per farle correre nella propria gara arrivando anche ad offrire denaro pur di avere corridori in gara. Ogni tanto capitava che lo stesso giorno noi dell’Oltrarno dovessimo gareggiare in più corse, dividendoci. Io e i’Bartolozzi si andava sempre insieme, perché così sapevamo di vincere”.
A quel tempo tutte le gare, sia dilettantistiche che professionistiche, erano organizzate dall’UVI. La UVI, Unione velocipedisti Italiana, nacque a Pavia nel 1885 per regolamentare sul suolo italiano tutte le società che stavano nascendo un pò in tutto lo stivale. Nel 1964 prese l’odierna denominazione di FCI, Federazione Ciclistica Italiana.
Per organizzare un evento si doveva contattare l’UVI, che a seconda dell’investimento che la corsa poteva permettersi, gestiva tutta la parte amministrativa per la creazione di una gara più o meno grande e quindi più o meno ricca. I ciclisti che partecipavano all’evento dovevano pagare una quota di iscrizione che andava a coprire i costi della corsa, finanziava la UVI e il rimanente diventava il montepremi per il vincitore. I premi andavano dalle 500 lire, passando per 800 lire fino anche oltre nelle gare dove c’erano molti sponsor.
Ma come nasce Bruno Giannelli ciclista?
“A me piaceva andare in bicicletta e così un giorno ho preso ed ho fatto una gara. E la vinsi!”. Nel raccontare ci fa vedere una foto di lui con addosso una camiciolina chiara e una bici che sembrava più da passeggio che da corsa. Accanto la foto una scritta 1° corsa Antella e una data 3/10/1946. “Quella gara e la corsi da libero, cosa intendo per libero? Che un c’avevo niente, ne squadra, ne numero, niente. Solo la mì bicicletta ed una camiciola”.
E poi passò all’Oltrarno, con le bici Pinzani. La risposta di Bruno è di quelle che ti ricordi, forte e decisa, pur con i suoi 94 anni. “Oh guarda che l’Oltrarno lo hanno fatto per me!”.
Come dargli torto, avrei risposto anche io così, è una di quelle cose di cui ti vanti tutta la vita. La Società Sportiva Oltrarno è nata come società di lotta ma subito dopo nacque la sezione ciclistica che ebbe fin da subito grande seguito ed ebbe in Bruno ovviamente il primo ciclista.
“Dopo una gara all’Antella, arrivato secondo, mi si avvicinò i Pinzani che stava seguendo la corsa e mi propose di pedalare con la sua bicicletta. Lo sai perchè la gente andava all’Oltrarno? Perché ti davano i tubolari! E poi avevano assistenza tecnica durante le corse e te la portavano in Via Gioberti alla bottega a riparare e ripulire tutta”.
Dopo la guerra le strade italiane erano tutte sterrate e dissestate e si bucavano parecchi tubolari.
Venivano comprati con le collette fatte dai soci che al bar davano un contributo per darli ai ciclisti per la gara successiva. Nei primi anni l’Oltrarno aveva raggiunto in breve tempo quasi 400 iscritti, per cui trovare qualche spicciolo in più non era molto difficile.
“Alla prima gara non avevo la maglia ufficiale della squadra, ma una maglietta verde con la fascia su scritto Oltrarno cucita a mano in corsivo da una mi vicina, perchè ancora le maglie ufficiali non erano arrivate. Per fortuna ai tempi il rione era come una grande famiglia allargata, altrimenti sai che figura.” Ride Bruno mentre addenta un altro biscotto.
Ma come era la vita del ciclista dilettante a quei tempi?
“La partenza di ste gare e gli era verso mezzogiorno o il tocco, verso le ore bruciate per intendersi. Per andare alle gare si partiva in bicicletta sempre da casa e in bicicletta si tornava. Partivo con una maglia per non insudiciare quella della squadra, mi cambiavo lasciando la camiciola sudata alla partenza, facevo la corsa e tornavo a casa. Era dura. Non c’erano neanche posti dove lavarsi e farsi il bagno. Quando andava bene c’era una fontana dove sciacquarsi le gambe e poi fila a casa. Per gare più lontane la squadra ci dava vitto e alloggio. Si partiva in bici il giorno prima per pernottare nel luogo della corsa.”
E con il mangiare come facevate? Avevate dei rifornimenti lungo il percorso?
“Sie, e ci davano un sacchetto di cibo da mangiare prima della gara. Solitamente pollo, tanto pollo, anzi di molto pollo.”
Per quanto riguarda l’abbigliamento, quello era una spesa della società. Quanti capi vi davano ogni anno?
“Uno!” Bruno quasi si alza dalla poltrona con una mano sul bracciale a sorreggersi mentre con l’altra alza l’indice per rinforzare la sua risposta. “Una maglia e un paio di pantaloncini da indossare per tutti gli eventi. Dopo ogni gara si prendevano e si lavavano. Quelle delle Sorelle Tortelli dopo poco che si lavavano si riducevano. E se te ne serviva un altro dovevi aspettare l’anno dopo. Pinzani invece era uno vispo e avanti, ci dava le sue maglie per gli allenamenti, e pure i berretti bianchi con scritta Pinzani nera. I pantaloni da allenamento invece erano normali pantaloni alla zuava con i calzettoni tirati sennò si incastravano.”
Bruno ci racconta tanti piccoli aneddoti che ci descrivono come era vissuto il ciclismo in quei tempi.
“In alcune gare di prestigio a Firenze, come il Giro della Toscana, l’arrivo veniva messo all’interno dello stadio con un giro di pista di atletica. Una volta ricordo che prima dell’arrivo avevano organizzato una partita della Fiorentina contro la Sampdoria in modo da mettere a sedere le persone e intrattenerli, in attesa del nostro arrivo”. O ancora “A queste gare c’erano sempre tantissime persone che si riversavano sulle strada. Le famiglie la domenica non avevano la televisione e invece di stare a casa uscivano e chi aveva le biciclette da passeggio le metteva in prima fila come transenne”.
Ha memoria Bruno, si ricorda quasi tutte le gare a cui ha partecipato, e praticamente tutte quelle dove ha vinto. Ad un certo punto gli chiedo cosa si ricorda della Coppa Cremonini. “Dura e matta, non c’era un metro di pianura” mi dice sorridendo, come di uno che ne ha viste tante ma quella era una che non si può dimenticare. ”La organizzavano i proprietari della carrozzeria di Donnini, i Cellai. A Donnini c’era una salita di molto dura. La corsa era piena di buche, un se ne levava le gambe, si finivano sempre i tubolari. L’ho fatta due volte ed un anno mi son dovuto pure ritirare per le troppe forature”.
Bruno tra le altre ci racconta un giro che solitamente faceva con i suoi compagni come allenamento nei giorni senza gara: Ritrovo alle 8.00 davanti al vecchio velodromo Pontecchi alle Cascine e ritorno verso le 4 del pomeriggio.Da Firenze pedalata di tutto il Valdarno fino ad arrivare a Montevarchi. Deviazione sulla destra a salire verso Castellina, Poggibonsi e Certaldo. Arrivo a Castel Fiorentino e da lì dirtto fino a Pontedera. Altra salita fino a Bagni di Lucca e di nuovo a Firenze.” Saranno sti si e no 250 – 280 km”. Detto come se fossero pochi. “E mica si facevano per fare un giro. Si era sempre a tutta. Quella salitaccia ai Bagni di Lucca, è lunga fino al Ponte alla Lima….”
Prima di diventare un ciclista Bruno era un idraulico. Nel 1953 smise di correre e abbandonò il professionismo, distrutto dal dover raccattare le briciole dei tre grandi ciclisti dell’epopea italiana, ovvero Bartali, Coppi e Magni. Riprese la sua attività da dove l’aveva lasciata. Dopo qualche anno fu indirizzato verso la manutenzione dei musei diventando in breve tempo manutentore sia per la sovrintendenza (musei fiorentini) sia di gallerie private. Lavorò per 30 anni prima di andare in pensione.
Alla fine la domanda su Bartali diventa obbligatoria. Passando al professionismo Bruno Giannelli venne tesserato dalla squadra di Ginettaccio nel 1950. “Di solito quando non correvo stavo in Via Gavinana, se l’era brutto tempo si andava al cinema o in un locale, altrimenti ero sempre dal meccanico di li. Bartali passava spesso in negozio per andare dai suoi genitori. Un giorno invece venne a casa mia e mi chiese se volessi correre per lui, perché c’era da correre il Giro d’Italia. Io avevo già vinto delle belle gare e gli dissi di si”. Fu così che Bruno divenne professionista con la squadra Bartali esordendo alla Milano Sanremo.
A fine intervista eravamo galvanizzati. Bruno era stato una fonte di notizie notevole e la sua vitalità ci aveva contagiato. Qualche tempo dopo, rimuginando sul meccanico di Gavinana ci venne naturale domandarci chi potesse essere. Dopo alcune ricerche capimmo che la risposta era scontata, Gavinana e Bartali erano indizi che davano una sola soluzione: Oscar Casamonti, per tutti i fiorentini Oscare.
Fu un buon dilettante fai da te, aveva già da giovane un negozio di biciclette a Ponte a Ema, il classico uscio e bottega del tempo. E i vicini di casa erano i signori Bartali. Oscare aveva pochi anni in più di Gino, ma lo adottò quasi subito, facendolo lavorare nella sua bottega. Ci sono varie leggende che narrano la scoperta del Bartali ciclista. Una di queste afferma che un giorno Gino andò a fare un giro in bici insieme a Oscare e i suoi amici. Deciso a staccare tutti, Oscare spinse tutto il tempo e alla fine l’unico che rimase alla sua ruota fu Gino, con una bici da passeggio. Da quel momento Oscar Casamonti fu il primo a credere in Gino Bartali iscrivendolo alla sua prima gara. La loro amicizia durò fino alla loro vecchiaia con Bartali che portava sempre un pò di lavoro al suo amico, scopritore e meccanico nella bottega di Gavinana.
Per la realizzazione di questo articolo ringrazio
Luciano Fortunati Rossi – ha rintracciato Bruno e mi ha accompagnato all’intervista
Andrea Martini – mi ha confermato che era palesemente Oscare quel meccanico e mi ha raccontato parecchi aneddoti su questo grande meccanico.
Per chi volesse approfondire vi consiglio due articoli interessanti scritti da Lisa Bartali, nipote di Gino. Uno su Bruno Giannelli Qui e uno su Oscar Casamonti Qui